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Il racket della presa di coscienza

lunedì 22 dicembre 2008

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«Tu, sì tu, la tua nascita fa di te il soggetto più propizio da
rivoluzionare. Hai tutte le carte in mano (cioè nessuna) per
realizzare le tue potenzialitàrivoluzionarie.
C’è solo una cosa, ancora non lo sai».

Nel mondo chimerico e ristretto del militante politico, gli esseri
diventati «soggetti rivoluzionari» errano nel limbo della non
consapevolezza fino a quando uno di loro, una sorta di arcangelo
Gabriele, giungeràa salvarli attraverso la presa di coscienza. La
rivelazione, il volantino miracoloso, la scelta delle parole giuste,
la tattica infallibile, la teoria rivoluzionaria scientificamente
dimostrabile, sono altrettanti stratagemmi al servizio del sortilegio
delle masse. Giacché, a questo livello di disumanizzazione, si può
ben parlare di “massa†, o ancora di “popolo†, di “razza†,
o di classe, o di qualsiasi altra categoria socio-politica che
assoggetta l’individuo a ciò che non ha scelto d’essere o alla
pressione di un gruppo sociale.

Lo sfruttamento non è unicamente un fatto matematico tangibile in
ogni occasione, esso può diventare insopportabile solo a colui che ne
avverte il peso e che desidera liberarsene. Ma, nel momento in cui è
sopportabile e desiderato, si può ancora parlare di sfruttamento? È
una questione che ci piacerebbe porre, perché non pretendiamo di
averla risolta magari con l’aiuto di una capriola teorica uscita da
un secolo polveroso. Per contro, non vi sono dubbi che in termini di
complicitànon si possono stabilire legami con uno sfruttato
soddisfatto della propria situazione, con cui per forza di cose si
insinuerebbe nei rapporti un’ambiguitàautoritaria. Costringere una
persona ad essere libera, secondo una schematizzazione della libertà
che non è la sua, ecco la peggiore delle deviazioni; il miglior
vicolo cieco immaginabile e possibile per una buona intenzione, di
cui del resto è lastricato l’inferno. Con simili concezioni, ogni
militante è una guida su piccola scala che rende conto a un
supervisore maggiore, anch’egli ben intenzionato, come il curato al
suo vescovo e il vescovo al suo cardinale, dove i diversi gradi di
coscienza sono il concime di una nuova gerarchia. Nel piccolo gioco
della politica tutti sono dominati e tutti dominano — tranne
l’ultimo anello della catena: IL soggetto rivoluzionario
progressivamente consapevolizzato, ancora una volta fregato da belle
illusioni.

La presa di coscienza è una scusa caduta dal cielo per praticare la
demagogia e il populismo senza troppi complessi. Qui e làfioriscono
discorsi semplicistici, ridotti al minimo (sindacale) per poter
essere contenuti in volgari slogan kitch, gagliardi e folcloristici.
Il fatto è che il soggetto rivoluzionario erra ancora nell’ultimo
cerchio, il grado di coscienza più mediocre. È per questo che il
militante si fa un dovere di essere leggibile fino talvolta ad
abbassarsi al livello dei libri per bambini. Ma, dopo tutto, quale
differenza c’è fra un bambino di 6 anni, un labrador e un soggetto
rivoluzionario? Ciascuno scodinzola quando gli si fanno delle
promesse o gli si parla del sol dell’avvenire...

Fra quelli giàimpegnati nei collettivi di sostegno ai senza
documenti, chi non ha mai sentito osservazioni frustranti tipo «Ti
ricordo che presumibilmente questo volantino saràdiffuso in un
quartiere popolare» per giustificare la sua pochezza o la debolezza
del proprio argomentare? Nelle lotte dei lavoratori, chi non ha mai
sentito osservazioni quali «Questo non lo si può ancora dire, andate
troppo in fretta»? Al militante si offre unicamente la possibilità
di un pensiero-slogan. Slogan come «noi la crisi non la paghiamo»
sono tipici del nullismo militante. Come se per sbarazzarci del
capitalismo dovessimo costringere i ricchi a pagare i costi della
loro politica economica, invece di distruggere totalmente i rapporti
economici e monetari.

Il militantismo è l’arte di far passare le proprie idee di mano in
mano fino a farle sparire. Dietro questa volontàdi chiarire il
proprio pensiero, i militanti finiscono con l’approfondire la
confusione. Giàassai maltrattata, la sinceritàdel militante si
ritrova letteralmente nelle cloache nel tentativo di fare concorrenza
alle trasmissioni televisive di intrattenimento, mettendosi al loro
stesso livello, dopo averne constatato il successo fra le classi
popolari. In questa corsa alla conquista della popolaritànecessaria
del militante, quale può essere il limite, se si considera che la
rivoluzione può dipendere solo da imbecilli decerebrati ridotti allo
stato di pedine da piazzare su una grande carta strategica della
rivoluzione? La tattica, strumento di manipolazione di gruppi
sociali, serve allora in maniera più o meno priva di complessi a
manipolare la carne da cannone elettorale o rivoluzionaria; e noi
siamo tutti selvaggina da militante. Dopo averci rifilato la sua
brodaglia, il suo pasto gratuito, ci infligge la sua ideologia nella
più pura tradizione del racket politico.

Proletario, sfruttato, indesiderabile, rivolgi la tua arma contro chi
fa di te un soggetto politico, contro chi ti analizza e ti trasforma
in perpetuo soggetto di studio, contro i magnaccia che si
attribuiscono il ruolo di domarti sulla vera via rivoluzionaria.


Brano di Machete N°5, traduce a partire da A propos de la « conscientisation » et de son racket in Non Fides N°4.