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Parigi: Azione in solidarietàcon gli immigrati clandestini in lotta in Australia

venerdì 20 gennaio 2012

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Domenica 13 gennaio, una decina di persone si è recata al museo del Quai Branly [“Museo delle arti e civilizzazioni di Africa, Asia, Oceania e delle Americhe†, NdT], nel 7° arrondissement, dove si teneva un’esposizione di arte aborigena.

È stato distribuito il volantino qua sotto ed è stato srotolato uno striscione sul quale c’era scritto: “L’Australa perseguita e rinchiude [i clandestini, NdT] – Viva la rivolta a Nauru come altrove†, intralciando per un po’ l’accesso al museo.

Poi, al quinto piano di uno degli edifici che compongono il museo, l’entrata del ristorante “Les Ombres†(vedi il volantino) e l’ascensore che vi porta sono stati immerdati con dei getti di liquido pestilenziale (sulla bella moquette!) e tutto un arsenale di fiale puzzolenti.

Le persone presenti esprimevano così la loro solidarietàcon una rivolta che è scoppiata lo scorso 30 settembre nel campo di prigionia dell’isola di Nauru, in seguito alla quale alcune persone dovevano passare in tribunale, in Australia, il 14 gennaio.

[qui di seguito il volantino distribuito, NdT:]

L’Australia, le sue spiagge, le sue gabbie…

L’Australia è ben conosciuta per le sue belle spiagge per surfisti, i suoi canguri, il folklore aborigeno. Quello che spesso si dimentica è che gli/le Aborigeni sono stati/e massacrati/e dai coloni e subiscono ancora un’oppressione permanente, parcheggiati/e in prigioni a cielo aperto: le “riserve†. Quello che si dimentica anche sono la persecuzione e la prigionia che vi subiscono oggi gli immigrati. La caccia agli indesiderabili, che essi siano di qui o di un altro posto, continua senza tregue, attraverso i secoli.

Nell’agosto 2012, il governo australiano ha deciso di riaprire un campo di prigionia per stranieri nello Stato di Nauru, una piccola isola situata a 2800 chilometri dalle coste australiane, offrendo compensazioni finanziarie e lavoro nel campo agli abitanti di Nauru. Come si felicitava l’amministratore delegato di un’impresa locale, “ciò creeràdei posti di lavoro (…). Quando il centro era aperto, gli abitanti di Nauru vi erano impiegati come agenti di sicurezza, ma anche alle cucine. Questo ha permesso a molti abitanti di Nauru di imparare un mestiere†. Insomma, imparare ad usare un manganello e a chiudere la bocca. Il centro è cogestito dall’Esercito della Salvezza, che sotto pretese umanitarie collabora alla detenzione, la cauziona e intanto si riempie le tasche.

Dalla riapertura, nel campo si sono moltiplicate le rivolte, gli scioperi della fame e le manifestazioni;ciò per esigere la libertàe per protestare contro le condizioni di vita, particolarmente dure, e contro la durata illimitata della detenzione. Come immaginare la possibilitàdi evadere da un’isola, soprattutto quando quasi tutti gli/le abitanti pensano di trarre profitto dalla situazione?

Nel weekend del 12 e 13 ottobre 2012, diverse manifestazioni hanno avuto luogo nel campo di Nauru, così come in quello di Christmas Island, per protestare contro la lentezza del disbrigo delle pratiche di richiesta di asilo politico e la detenzione in isole perse nel Pacifico. Ci sono state diverse azioni di solidarietà, fra cui una manifestazione di 200 persone sotto le mura di un altro campo australiano, qualche giorno prima.

Il 30 settembre 2012, a Nauru molti detenuti hanno distrutto delle tende, del materiale elettrico e una parte della cucina del campo. In seguito a questa rivolta, 16 di loro sono stati messi sotto accusa, a novembre, per aver causato 24000 dollari australiani di danni. Il 10 dicembre 2012, sono passati in tribunale (a parte due di loro, che sono stati espulsi nel frattempo) per una seconda udienza. Alla prima, si erano rifiutati di uscire dall’autobus perché erano venuti a sapere che sarebbero stati difesi da un avvocato che non avevano mai nemmeno visto. La prossima udienza avràluogo il 14 gennaio 2012 e questa volta saranno tenuti a presentarsi. Intanto, sono sempre rinchiusi.

Siamo solidali con queste rivolte, che esse scoppino qui o laggiù, poiché la detenzione dei/le stranieri/e non può essere dissociata dal mondo che la genera. Le frontiere garantiscono uno sfruttamento a basso prezzo e molte imprese si arricchiscono, mentre gli Stati scaricano i loro discorsi razzisti e securitari.

Per noi ha senso rendere visibile tutto ciò, qui al Quai Branly, in questo cimitero coloniale dove si vengono ad ammirare i resti di popolazioni saccheggiate e massacrate e dove il gruppo Elior, con il ristorante Les Ombres, fa buoni affari, come nei CIE di Metz e Perpignan, dove fornisce i pasti. Perché, in Francia come altrove, la persecuzione, la selezione, la detenzione, l’espulsione dei/le migranti e di altri indesiderabili vanno a gonfie vele (o per aereo) e molte imprese ne traggono profitto.

Solidarietàcon quelle e quelli che si rivoltano contro le frontiere e le prigioni che le accompagnano!
Sabotiamo i meccanismi della detenzione e dell’espulsione!
Libertàper tutti e tutte, con o senza documenti!