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Bello come un’aria di rivolta, come un vento di libertà.

Seconda lettera pubblica di Olivier, prigione della Santé, 17/18 febbraio 2011

giovedì 29 aprile 2010

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Queste sono alcune riflessioni di una persona frustrata per non potere esprimere la sua collera, per il momento, che in maniera limitata. Limitata da muri, da sbarre e da guardie. Limitata dalla relativa impossibilitàdi condividere questa collera con altre persone detenute. Limitata dall’impossibilitàdi poter condividere completamente questa collera, questa rabbia, questa rivolta, con dei compagni di strada. Compagni di strada, amicizie e complicitàforgiate non dal caso, ma dal felice incontro di individui che hanno desideri comuni, una volontàcomune, quella di lottare con tutte le nostre forze per liberarci da ogni tutela e da ogni autorità.

Una volontàe dei desideri molto più ampi di quanto può essere una qualunque frontiera, l’ideologia morbosa di un magistrato, l’opportunismo di ogni politico, la sporca funzione dello Stato. Una volontàe dei desideri che si manifestano per lo più senza preavviso, senza negoziati con quelli che hanno deciso di dedicare le loro vite alla costrizione ed alla repressione dei desideri. Una volontàe dei desideri che non potrebbero soddisfare alcuna religione, che nessun confine saprebbe dividere, che nessuna prigione saprebbe soffocare completamente, che nessuna merce potrebbe rimpiazzare. Ai quali nessuna forma di repressione potrebbe farci rinunciare.

Il capitalismo e lo Stato ci vendono e ci impongono delle menzogne. Fra queste, la menzogna secondo cui al giorno d’oggi non resterebbe nulla al di fuori della merce e della sua tristezza, della politica e della sua miseria, del lavoro e del suo asservimento, del denaro e del suo dominio. Nulla al di fuori dei sorrisi forzati per cancellare il dolore dello sfruttamento e dei paradisi artificiali per consolarci di questa vita priva di gioia. Nulla al di fuori della comunità, nazionale, etnica o religiosa, e della loro comune oppressione dell’individuo.

Tunisia, Egitto, Algeria, Libia, Bahrein, Yemen… La vetrina di questo mondo perde pezzi un po’ dovunque, sotto i colpi della realtà, una realtàche fa andare in frantumi l’ideologia del “migliore dei mondi possibili†. In Francia, Inghilterra, Italia e in molte altre regioni del mondo, le “democrazie avanzate†hanno grandi difficoltàa realizzare il loro vecchio sogno di pace sociale perpetua e di sottomissione durevole.

Questa velocitàcon cui la rabbia si trasforma in rivolta sociale e si diffonde da una città, da una regione, da un paese all’altro, viene presentata come una fatto inedito, senza precedenti nella storia, che sarebbe dovuto ad un fenomeno particolare e provvisorio: la crisi economica. Una crisi che certo dovràfinire, un giorno o l’altro, portando la fine delle sommosse e la ripresa degli affari, il ritorno all’ordine. Una menzogna in più.

Il dominio è certamente plurisecolare, ha saputo adattarsi, evolvere, resistere a molteplici movimenti di resistenza e di rifiuto, fino ad arrivare alle sue forme attuali. Ma questa parvenza di continuitànon ha mai potuto far dimenticare che la pace sociale è fragile e che oggi come ieri migliaia e migliaia di persone non si rassegnano alle condizioni di sopravvivenza che sono loro imposte, ma al contrario si ostinano a non lasciarsi sfuggire alcuna occasione nella prospettiva di una liberazione radicale delle relazioni umane.

Come abbiamo potuto vedere all’inizio dell’anno, quando tutte le mediazioni (concessioni salariali, negoziazioni politiche e sindacali) vengono a mancare, per soffocare la rivolta non restano che la forza militare ed una repressione sanguinaria. Ma abbiamo anche visto che questa soluzione non basta per spegnere davvero l’incendio, anche se il “bilancio†è molto caro per gli insorti.

Al di làdi quello che questi ultimi possono “ottenere†con tali rivolte, cioè la piccola lista di “vittorie†presentata dai media (diritti politici, eventuale aumento dei salari, stampa libera ed elezioni), al di làdi questa pretesa “rivoluzione†che costituirebbe una transizione fra dittatura e democrazia, teniamo soprattutto al contenuto stesso dell’insurrezione in corso. I suoi atti, i suoi bersagli accuratamente scelti fra le istituzioni di potere (prigioni, sedi di partiti politici, commissariati, banche e negozi, edifici amministrativi vari), la forza congiunta della sua imprevedibilità(al contrario di punti di ancoraggio rituale come la piazza Al Tahrir al Cairo) e della sua violenta determinazione, la sua capacitàdi interrompere per un momento la normalitàdel lavoro, dell’economia e della rassegnazione; la sua capacitàdi diffondersi, di incoraggiare ognuno, uomo o donna, a lasciare da parte il suo ruolo sociale per lanciarsi con rabbia e gioia nella battaglia; la sua capacitàdi diffondere un grande soffio di speranza e di far sì che i potenti di qui e di altrove si caghino nei pantaloni, loro che hanno paura che la rivolta corra più veloce dei container di merci.

Evidentemente, la rivolta in sé stessa non è esente da contraddizioni e limiti: si possono spesso vedere gruppi di insorti composti esclusivamente da uomini, con le donne che restano sullo sfondo o che appaiono solo in maniera pacifica e simbolica. Si possono anche vedere delle bandiere nazionali brandite nel momento stesso in cui i simboli dello Stato sono attaccati. Si possono vedere dei buffoni politici o religiosi mettere tutto il loro opportunismo di carogne nella corsa ai posti vacanti del potere, utilizzando gli scontri per far pressione sui dirigenti attuali, e condannando apertamente la rivolta quando questa li supera e porta dei sogni di cui essi non vorranno mai sentir parlare. Si possono vedere – ancora troppo di rado –militari che rifiutano di sparare nel mucchio, ma che domani compieranno senza remore la loro missione di mantenimento del nuovo regime politico, più o meno democratico. Si possono vedere diverse centinaia di detenuti che sono riusciti ad evadere e che ritornano da soli alle prigioni, dopo l’appello dello Stato.

Malgrado tutti questi limiti, l’attuale rivolta non si spegne come un semplice fuoco di paglia. In Libia le prigioni cominciano a bruciare (a Tripoli e Bengasi) e senza alcun dubbio le immagini dei sollevamenti ispirano oggi un gran numero di arrabbiati e resteranno a lungo nelle menti, dandoci coraggio ed ispirazione per mettere la nostra collera in azione.

Resta quindi a ciascuno di noi di metterci un po’, molto, appassionatamente, del suo, buttare benzina sul fuoco e sputare in faccia al potere.

Per l’insurrezione, per la libertà.

Olivier