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Ovunque : Seconda lettera di Dan dalla prigione della Santé

venerdì 30 aprile 2010

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“Non importa camminare quando si hanno ali per volareâ€

Come sempre, mentre il potere ci promette l’apocalisse cercando di metter fine ad ogni velleitàdi trasformazione sociale dei rapporti, a colpi di incarcerazione, di accanimento giudiziario, di divieto di comunicare e di dispositivi di sorveglianza dalle ridicole pretese di onnipotenza, la lotta continua e gli incontri rompono l’isolamento di quelli che si vorrebbe schiacciare in silenzio; poiché in un mondo di dominio, la libertàe la lotta non possono che spezzare quel silenzio di morte che essi vorrebbero veder regnare fra quelli per cui questa vita di servitù è insostenibile.

Dalle rivolte all’interno delle prigioni per stranieri, attraverso l’Europa [1], così come dai massicci movimenti insurrezionali nel Maghreb e in Medio Oriente, si alza lo stesso grido di rabbia: la libertàintera, immediata ed incondizionata.
Ovunque la stessa voglia di far saltare l’ultima catena, ovunque le stesse grida di rabbia, ovunque lo stesso amore per la vita. Ma ovunque anche le sirene urlanti della repressione, il rumore delle chiavi nelle porte blindate, il colpo sferzante del martello del giudice che ti priva della libertà, il colpo di manganello dello sbirro che frena il tuo slancio, il colpo assordante del fuoco di un militare che viene a trafiggere i tuoi sogni o il colpo del timbro del prefetto che ti rispedisce alla frontiera. Ovunque, alla lotta contro l’esistente si oppone l’arsenale dello status quo, che esso sia giuridico, militare, politico o cittadinista. Rompono, isolano, designano. “Terrorista†, “criminale†, “marginale†, “squilibrato†, “sabotatore†, “clandestino†, “desperado†, “estremista†. Che esso sia democratico o dittatoriale, il baraccone giudiziario e poliziesco infierisce quando sente che il suo regno si sgretola, ovunque l’odio represso dell’oppressione scoppia in pieno giorno, si diffonde e si trasforma in una gioia incontrollabile, piena delle risate e della lacrime di felicitàdei fortunati che spezzano le proprie catene, pugnalano la noia di una triste vita; la spina dorsale piegata in una fabbrica, lo spirito rinchiuso in un appartamento di 17 metri quadrati, le mani legate in un commissariato schifoso o le tasche svuotate in una bancarella di merci bramate.

Allora si ruba, si saccheggia, si ride, si impara di nuovo a correre per delle buone ragioni, si mostra la lingua, si dice di no e si tirano pietre quando ci vorrebbero vedere prostrati nella frustrazione di una vita senza vita, troppo corta, troppo lunga. Nel falso cerimoniale di una pace sociale che altri, non noi, hanno negoziato. Ma la bellezza è dalla parte di quelli che si rivoltano.

In un periodo di “crisi†in cui la gente ha sempre meno da perdere, il potere non può che temere ogni slancio di vera libertà. Non parlo delle eterne Cassandre di sinistra, che esse siano parlamentari o di Tarnac [2]; non parlo di quelli che vorrebbero farci credere che per sbarazzarci di ogni potere bisognerebbe prima accedervi, né di tutti quelli che pensano che bisogna accontentarsi, per portare avanti le nostre lotte, delle armi che ci sono concesse da chi è al potere; no, non dobbiamo essere così pessimisti e rassegnati. Dobbiamo essere infedeli, incontrollabili ed ingovernabili.

Mi sembra chiaro, per quel che mi concerne, che Olivier ed io non siamo in prigione per qualche scritta sui muri e nemmeno per il non rispetto delle obbligazioni giudiziarie [ai due era fatto divieto di incontrarsi, NdT], siamo incarcerato a causa di un sogno che portiamo nel profondo dei nostri cuori, l’assenza totale di autorità, la volontàdi combattere quella morte che è la vita che vogliono farci sopportare e perché non abbiamo mai esitato a scendere in strada per discuterne, per esprimere questi desideri di libertàa tutti quelli che volevano discuterne con noi e condividerli. Siamo incarcerati per quello che siamo, non per quello che abbiamo o avremmo fatto, questi non sono che pretesti.

Il fatto che tutto continui, che le discussioni, le tavole di distribuzione di materiale informativo, i dibattiti, nuovi incontri ed azioni non facciano che moltiplicarsi dal nostro arresto mostra bene che per soffocare le nostre rivolte e le nostre solidarietà, il potere attuale ed il potere in generale non possono che abdicare od essere distrutti, e le recenti rivolte nei paesi arabi ci mostrano anche che questo desiderio è più forte delle pallottole, così reale che passeràsempre attraverso sbarre e galere.

Una dedica speciale a quelli che, in Libia o altrove, giocavano di nascosto alle freccette con le foto dei loro oppressori ed oggi giocano con altre armi, il sorriso alle labbra. Un’altra a tutti quelli che non restano chiusi al caldo nonostante la repressione: rabbia e coraggio!

Né patrie, né frontiere, né nazioni!
Né giustizia, né pace.

Libertà! Ovunque.

4 marzo 2011, dalla prigione della Santé.
Dan.


[1Come per esempio a Vincennes, vicino a Parigi, Gradisca, Trapani, Torino e Modena in Italia, o Steenokkerzeel a Bruxelles, dove i clandestini si sono rivoltati a fine febbraio, incendiando le loro gabbie, scappando e saccheggiano il mobilio.

[2Si veda la proposta dei “10 di Tarnac†, indirizzata alla borghesia tramite il suo giornale preferito, Le Monde, del 25 febbraio 2011, dove propongono a Sarkozy di esiliarsi subito (ma dove cercano anche di recuperare alcuni compagni, minimizzando quello che lo Stato imputa a questi ultimi ed estraendoli dal contesto delle loro lotte [tra l’altro accennano anche alla vicenda di Dan, Olivier e Camille, NdT – si veda, in francese: http://juralibertaire.over-blog.com/article-une-proposition-politique-des-mis-en-examen-de-tarnac-67986438.html